“VORREI AVERE PIÚ AUTOSTIMA”…3 PASSI PER MIGLIORARE

“VORREI AVERE PIÚ AUTOSTIMA”…3 PASSI PER MIGLIORARE

“Togli il NON dalla frase NON POSSO” – S. Johnson

Punto di partenza: L’AUTOSTIMA NON SI EREDITA, SI COSTRUISCE

L’autostima può essere definita come quel senso di autocompiacimento e di valutazione positiva di se stessi. Una buona stima di sé è importantissima per una soddisfacente realizzazione personale, professionale e relazionale, tanto che, di fronte a momenti di blocco, nella nostra vita o in quella di chi ci circonda, la frase di rito è spesso: “se solo avessi/avesse più autostima!”.
Ma per capire come potersi migliorare, occorre per prima cosa sfatare qualche credenza popolare che potrebbe portare fuori strada…

IL GENE DELL’AUTOSTIMA

L’idea che un costrutto psichico come quello di “autostima” possa essere in qualche modo geneticamente predeterminato va contro ogni evidenza scientifica! È molto in voga, oggi, cercare di scovare determinanti biologiche che possano spiegare il nostro stato mentale, questo viene fatto per la depressione come per altri stati del nostro essere.
La ricerca di questo tipo però, non considera, a mio avviso, una componente fondamentale dell’essere umano, ovvero il fatto che, per noi, il cambiamento è una costante piuttosto che una rarità. Siamo esseri dinamici e ciò che ci caratterizza oggi potrebbe non rappresentarci più domani; insinuare la credenza che la percezione di noi sia data esclusivamente da come siamo stati programmati biologicamente rischia di fossilizzare la realtà e inibire la spinta migliorativa; si rischia, in sostanza di cadere nella trappola “sono nato/a così, che ci posso fare?”. Se deleghiamo al caso, siamo perdenti di sicuro.

AUTOSTIMA SI’ o AUTOSTIMA NO

L’autostima non è un valore, qualcosa che o si ha o non si ha! Non è qualcosa che, se acquisito, rimarrà invariato nel tempo. Essa è un processo che si inserisce in un continuum ed è influenzata da ciò che pensiamo, sentiamo e dal contesto in cui siamo inseriti ed è quindi mutevole come lo sono le esperienze della nostra vita. Può capitare, infatti, che in determinate situazioni siamo a nostro agio, ci sentiamo competenti e soddisfatti di noi, mentre in altre succede proprio il contrario. Ognuno di noi, quindi, vive queste oscillazioni nella stima di sé, fa parte del gioco della vita!

SE SOLO MI AVESSERO VOLUTO PIU’ BENE!

Un contesto familiare ed educativo amorevole ed accettante, che sappia favorire e rinforzare apprendimenti ed autonomie crea sicuramente un humus favorevole per lo sviluppo di una buona stima di sé ma, in definitiva, essa rimane il frutto di una costruzione intimamente personale.
L’idea che la stima che abbiamo di noi derivi da ciò che abbiamo vissuto da piccoli è, non solo ingenua, ma anche pericolosa, poiché il rischio è quello di delegare ad altri qualcosa che riguarda solo noi. L’autostima non può essere donata dagli altri! La stima di sé è una ricchezza personale, risultato di sforzi e successi ottenuti in prima persona. Mai nessun “bravo” varrà quanto un “ce l’ho fatta” nella costruzione di una solida stima di sé.

E allora come fare per potenziare la stima di sé? Passo dopo passo…

Passo 1 EVITA DI EVITARE

Se cerchi un modo per fuggire da ciò che ti spaventa o che ti sembra troppo grande per le tue capacità, sappi che fuggirai! Se parti già in anticipo con l’idea che non ce la farai, il fallimento è dietro l’angolo. Evitare di affrontare una situazione o una nuova esperienza perché non ti senti all’altezza, inizialmente ti farà sentire al sicuro, ma alla lunga non farà che minare il tuo senso di auto-efficacia.
Spesso le persone che lamentano bassa autostima usano questa strategia fallimentare, fino a relegare la propria vita all’interno di una cornice rassicurante ma poco stimolante e soddisfacente.
Il primo passo per potenziare la nostra stima sarà quindi quello di dirigere lo sguardo verso ciò che ci risuona come poco rassicurante.

Passo 2 AGISCI PER CONVINCERTI, NON IL CONTRARIO!

Non basta pensare positivamente… occorre mettersi alla prova, ora ti spiego come mai!
Allontanati dall’“autostima cognitiva”, ovvero quella modalità di auto-rinforzo intellettuale, tipica delle persone che si ripetono “sono il migliore”, “so tutto io”, “sono bravo”, nell’intento di confermarsi capaci o di incrementare la propria autostima. Questo tipo di celebrazione volontaria di sé rischia di sgonfiarsi, se non confermata alla prova dei fatti. Il pericolo è quello di farsi bastare un tale autoinganno senza verifica… questa non tarderà ad arrivare, del resto la vita è piena di sfide, e il primo fallimento farà svanire tante belle premesse come neve al sole. L’idea è di abbandonare questo tipo di modalità, e rivolgersi ad un’altra, più funzionale.
Avvicinati all’ “autostima esperienziale”, ovvero quell’atteggiamento neutrale di chi non si aspetta troppo ma si dice che per far andare le cose come si vorrebbero bisogna impegnarsi. Questa disposizione porta a fare, a mettersi alla prova, a riconoscere i propri limiti e valicarli …solo ciò che si è guadagnato con impegno e fatica acquista valore. L’autostima sarà la conseguenza naturale di ciò che si è ottenuto in prima persona con dedizione e impegno. Essa è quindi il punto di arrivo, non di partenza!

Passo 3 CONSOLIDA LA TUA AUTOEFFICACIA

Mano a mano che si sperimentano esperienze migliorative e il proprio senso di autoefficacia cresce è sempre bene tenerlo vivo orientandosi verso nuovi obiettivi e alzando sempre un po’ l’asticella! Maggiori saranno i nostri successi personali, più la percezione di sé come auto-efficaci sarà destinata a diventare duratura e stabile. Solo con l’allenamento quotidiano un primo cambiamento diventa una disposizione naturale del nostro essere.
Se poi noti che c’è ancora qualcosina su cui tiri indietro… beh, basta fare un passo indietro per compierne due in avanti!

GENITORI E FIGLI ADOLESCENTI: COME FARE?

GENITORI E FIGLI ADOLESCENTI: COME FARE?

“Ci sono due lasciti durevoli che possiamo dare ai nostri figli. Uno sono le radici, l’altro sono le ali” – H. Carter jr

L’adolescenza è una delle più importanti fasi di crescita dell’individuo: un periodo nel quale non si possiede né un corpo né una mente ben definiti, non si è ancora autonomi nell’organizzare la propria esistenza, ma ci si avvia a essere adulti.
È una fase di scompiglio, sotto vari punti di vista. Primo fra tutti, il corpo, che si trasforma, in maniera spesso disarmonica. Cambia il modo con cui lo si guarda ed esso diviene il fulcro attorno cui ruotano pensieri, emozioni e sentimenti. L’adolescenza è, per definizione, quel processo di adattamento psichico ad un cambiamento innanzitutto fisico.
Ragazzi e ragazze attraversano le fasi importanti della propria crescita con ritmi diversi, ma prima o poi tutti raggiungono le stesse tappe e le differenze individuali diventano la conferma della propria unicità.
La curiosità verso il nuovo corpo, così velocemente trasformato, spinge alle prime esperienze sessualizzate, in principio di auto-erotismo, che, col tempo si fanno relazionali. Sotto la pressione ormonale nascono le prime infatuazioni e gli innamoramenti, veri e propri concentrati di emotività e sensazioni piacevoli. Tipica di questo periodo è l’alternanza di opposti stati emotivi, poiché l’umore è facilmente in balia di un’emotività nuova, che col tempo verrà gestita e contenuta, anche grazie ad un pensiero in grado di funzionare in astratto.
Gli amici e il gruppo dei pari assumono un’importanza fondamentale: con i coetanei ci si sente protetti, sicuri, capiti, si scoprono quelle somiglianze che rassicurano, essi diventano punto di riferimento e modello; l’amicizia diventa un legame affettivo, una relazione più solida e matura.

Questi e altri forti cambiamenti fisici e psicologici vedono l’adolescente impegnato nella revisione dell’immagine di sé e nella definizione di una sua nuova posizione: non è detto che questa transizione debba portare a conseguenze catastrofiche. Egli costruisce il proprio mondo attraverso esperienze concrete che gli permettono di anticipare le situazioni, costruire repertori, mappe, sistemi percettivo-cognitivi per affrontare le varie circostanze.
Anche il rapporto con i genitori si evolve e, se da bambini essi hanno un’importanza fondamentale come modello di identificazione, durante l’adolescenza il gruppo dei pari diventa il punto di riferimento più significativo. La famiglia rimane comunque la prima agenzia educativa: il rapporto con i genitori cambia, diventa un confronto paritario, rispetto alla dipendenza subordinata del bambino nei confronti del proprio genitore.
I genitori, durante questa fase delicata dei loro figli, possono svolgere un ruolo importante nel facilitare un passaggio positivo verso il mondo adulto, a patto che riescano a ridefinire il loro ruolo genitoriale (rispetto alle precedenti fasi infantili), in modo da saper fronteggiare efficacemente possibili difficoltà e momenti di crisi del proprio figlio.
I genitori con figli adolescenti dovrebbero muoversi con leggerezza e cautela e molto spesso stare fermi è l’opzione migliore: la strategia più efficace con figli adolescenti è OSSERVARE SENZA INTERVENIRE, in altre parole guardare il figlio mentre si “allontana” e sperimenta la propria autonomia.

Osservare senza intervenire significa, in concreto:
– Evitare di fare al posto suo, sacrificarsi per lui, proteggere eccessivamente il figlio dalle sue sfide quotidiane (scuola, sport, relazioni…). Solo in questo modo si consente al proprio figlio di sperimentare la propria autonomia, valutare le conseguenze delle proprie azioni e costruire un senso di responsabilità individuale. Il figlio è spronato a sganciarsi da modalità infantili di dipendenza e a costruirsi una identità matura, dove ha modo di accrescere il suo senso di autoefficacia ed autostima, affrontando ostacoli e sfide in prima persona e imparando dai propri errori.
– Evitare di intervenire in maniera troppo pedagogica, centellinando consigli, spiegazioni, comizi a scopo persuasorio e allarmismi infondati.
Il genitore è un esempio nei fatti più che nelle parole: gli adolescenti hanno bisogno di modelli da imitare piuttosto che di “insegnanti predicatori”. Le modalità comunicative dei genitori cambiano rispetto a fasi precedenti dello sviluppo: per instaurare una relazione rispettosa e attenta, che favorisca il confronto e l’apertura da parte del figlio, è necessario sostituire alle affermazioni delle domande; chiedere verifica anziché sentenziare; evocare piuttosto che spiegare (parlare all’emisfero destro oltre che al sinistro) e agire anziché un parlare eccessivamente sulle cose.
– Evitare allarmismi e un eccessivo interventismo genitoriale. Questa attitudine consente di agire laddove sopraggiunga una reale necessità, ovvero quando i genitori scorgano nel figlio una situazione di difficoltà perdurante, un disagio emotivo o un reale pericolo. È proprio durante l’adolescenza, infatti, che la psicopatologia si struttura: un genitore in grado di osservare attentamente proprio figlio saprà cogliere maggiormente i segnali di disagio e assumere le redini della situazione, rispetto ad un genitore entrante e invadente.

In conclusione, gli adolescenti devono essere stimolati ad agire senza che i genitori si sostituiscano a loro ma alzando il tiro, facendo in modo che si meritino tutto quello che avranno attraverso sforzi concreti e fatiche poiché “quanto giunge con facilità non sembra importante mentre quello che viene conquistato acquista valore”.



Consigli di lettura:
G. Nardone et al. “Aiutare i genitori ad aiutare i figli – problemi e soluzioni per il ciclo di vita”, Ponte alle Grazie, 2012

5 REGOLE D’ORO PER UNA RELAZIONE DI COPPIA FELICE

5 REGOLE D’ORO PER UNA RELAZIONE DI COPPIA FELICE

Partendo dalla massima di Nietzsche secondo cui “ogni rapporto che non eleva abbassa”, ecco qualche riflessione sulla vita di coppia. Senza la pretesa di essere esaustiva, mi sembrano dei punti fondamentali per una relazione positiva e arricchente.

 

1. RISPETTO COME PARTENZA E ARRIVO

“La forma più vera di amore è come ti comporti verso qualcuno, non cosa senti per lui” – S. Hall

Il rispetto di sé e dell’altro è l’ingrediente principale per una riuscita relazione di coppia, è la presa d’atto di quanto ogni essere umano sia unico e speciale, nei suoi modi di sentire, pensare e agire.
Attraverso questo atteggiamento diamo valore e dignità ai sentimenti e alle divergenze, ci apriamo al confronto, all’intimità, alla condivisione e mettiamo alla porta giudizi e aspettative illusorie sull’altro. Inoltre, alleniamo la flessibilità mentale, aprendoci all’incertezza della vita e imparando a rinunciare ad autoinganni potenzialmente nocivi per la coppia come l’idea di perfezione, di possesso e di controllo.
Attuare questo atteggiamento nella coppia, implica esercizio, poiché spesso è facile opporre il nostro punto di vista come unico, valido e sensato, anche di fronte a chi amiamo. L’esercizio del rispetto, nei gesti, nelle parole e nei comportamenti ripaga, in quanto porta con sé una gestione funzionale degli inevitabili contrasti della vita a due, prevenendo il deteriorarsi di situazioni e del legame di coppia.
Alcune strategie utili, in tal senso, per validare entrambi i punti di vista, aprire al dialogo e al cambiamento e predisporre un clima di rispetto nella relazione sono:
– ascoltare in maniera attenta, empatica ed attiva;
– domandare, chiedere verifica e collaborazione anziché affermare, sentenziare e accusare;
– parlare in prima persona usando un linguaggio evocativo (immagini o metafore) per far sentire all’altro come ci sentiamo, anziché spiegare, puntualizzare, recriminare e predicare.

2. COLTIVARE UN SANO EGOISMO

“L’amore è lo scambio di due fantasie e il punto di incontro di due egoismi” – P. Auguez

La coppia è più della somma di due individui: è un “terzo” elemento, un incastro esclusivo e magico di corpi e chimica, di storie e sensazioni, di parole e silenzi, di gesti e speranze …e chi più ne ha più ne metta! Per essere vitale essa va nutrita e coltivata giorno per giorno da parte di entrambi.
Se i suoi confini, però, si chiudono e diventano rigidi, se i membri della coppia si fondono, o si impediscono esperienze individuali, essa perde linfa vitale e la coppia rischia di diventare un involucro sterile.
I due componenti della coppia necessitano di godere di una propria autonomia vitale, ovvero di assentarsi, assaporare momenti da soli e con altre persone, fare sentire all’altro che si sta bene da soli, costruire materiale personale per realizzarsi anche in altri contesti: in poche parole, nutrire un sano egoismo.
Il ritorno nella coppia sarà un piacere, la coppia sarà arricchita e stimolata dalle esperienze reciproche!

3. DARE È GIÁ RICEVERE

“Il piacere di piacere è il culmine del piacere” – G. Nardone

Se gli esseri umani coltivassero questa semplice regoletta, la maggior parte dei problemi relazionali si risolverebbero! Chi non ha provato sulla propria pelle l’ebrezza che provoca uno sguardo di ammirazione, il piacere derivante da un gesto di affetto gratuito e il calore da un tocco gentile? Far sentire l’altro speciale e unico, apprezzato e amato richiede di mettere se stessi in secondo piano, apparentemente, e rendere l’amore protagonista. Questo atteggiamento ripagherà, in quanto predispone l’altro a ricambiare.
Dare, in tutti i sensi, significa anche alimentare la passione, evitando il “tutto è dovuto”, pena la morte della relazione; saper coltivare l’arte del corteggiamento nella relazione, nonostante il passare del tempo, è uno stratagemma che eviterà di far scadere la relazione in routine.
In quest’ottica chi più ha più dà: in un amore sano non esistono disparità o giochi di potere. Ciò che conta è la condivisione, dove ognuno mette ciò che ha per fare stare bene entrambi, poiché come sostiene Seneca “nessun bene senza un compagno ci dà gioia”.

4. GESTIRE LA GELOSIA IN PRIMA PERSONA

 “La sincerità a piccole dosi è pericolosa, a grandi è micidiale” – O. Wilde

La gelosia va gestita in prima persona, esprimendola il meno possibile, altrimenti diventa un veleno per la coppia.
Se essa viene socializzata, rischia di mantenersi e alimentarsi, fino a diventare ossessione o, peggio, paranoia, portando a sicura rovina il rapporto a due. Il modo migliore per ottenere questa ricetta fallimentare è mischiare i seguenti ingredienti: ricercare chiarimenti, fare domande, investigare e chiedere rassicurazioni al/alla proprio partner.
Cessare di voler sapere e mettere una pietra tombale sulle proprie paure è il miglior modo per ridimensionare la propria gelosia e vivere in maniera meno annebbiata il proprio rapporto di coppia.

5. RISOLVERE IN AUTONOMIA I PROPRI PROBLEMI PERSONALI

“E’ più facile vivere con qualcun altro che completare da soli se stessi” – B. Friedan

Tendenzialmente ci si cerca per compensare delle mancanze: così si formano la maggior parte dei legami affettivi e non c’è nulla di patologico in questo.
Quando però il livello individuale di sofferenza è elevato e le proprie difficoltà diventano problemi impedenti non c’è ricetta peggiore che cercare di attenuarli o risolverli tra le braccia di qualcuno! Il voler riparare ai propri problemi personali nella coppia è un autoinganno che, col tempo è destinato a rivelarsi fallimentare.
Ogni problematica o difficoltà individuale va gestita in prima persona, altrimenti si rischia non solo di farla perdurare ma, addirittura peggiorare, riversandola nella coppia e “imbruttendo” la relazione.
Il rischio, inoltre, è quello di infilarsi in una relazione di mutuo aiuto, di dipendenza affettiva o perversa, insomma, in un incastro esplosivo e disfunzionale.


Consigli di lettura:
G. Nardone “Correggimi se sbaglio – strategie di comunicazione per appianare i conflitti nelle relazioni di coppia”, Ponte alle Grazie, 2005.